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Questo è il mio blog personale, un blog di confine, dove proverò a pubblicare un pò di cose mie, per me e per chi le vorrà leggere.

Il Confine

...un confine, proprio perché si pone di fronte a una differenza, deve essere valicato, non deve essere ignorato ponendovi a limite la diffidenza, così come è valicato sistematicamente il confine che c’è fra il giorno e la notte, tra il prima e il dopo, tra la terra e il mare, fra l’uomo e la donna, tra la vita e la morte.

lunedì 22 giugno 2009

Le Tre Sveglie

Le tre sveglie stavano allineate in alto sulla libreria, segnando ciascuna un’ora diversa. Le guardavo ogni tanto già da due notti, perché avevo in testa una convinzione che quanto più sembrava assurda, tanto più temevo sarebbe diventata reale. Le sveglie erano ferme da mesi, anzi da anni e naturalmente non sapevo minimamente a chi fossero appartenute dato che le aveva posate lassù mia madre tempo prima, come abbellimento - a suo dire - della casa. Eppure sentivo che quelle lancette non si erano fermate lì a caso, sapevo che qualcosa avrebbero voluto dirmi.

Nel letto davanti a me il residuo di mio padre respirava a fatica, ormai immerso nella sua incoscienza da cui riemergeva di tanto in tanto solo per pochi attimi. Lo guardavo e non potevo credere che quell’uomo tanto forte e pieno di vita ci avrebbe lasciato di lì a poco. La malattia inesorabile, lo aveva trasformato in brevissimo tempo nell’ombra di sé stesso, ma a noi, in quelle ore, quasi sembrava che questa fosse la sua normalità e anche in quello stato, che invece di normale non aveva niente, lo avremmo tenuto con noi per sempre, pur di non perderlo. Poi all’improvviso ci ricordavamo che no, quello non era più lui e ripensavamo con dolore alla sua vita vera che ancora era così vicina nel tempo, ma che era finita all’improvviso in quell’estate così dolorosa .

C’era nella casa un’aria strana, molte persone venivano e tutti, come anche noi, si mostravano molto affaccendati, premurosi, positivi, forti. Era un modo convinto e inconsapevole di nascondere la tragedia; di affrontare e superare un momento difficile e che si sarebbe concluso in maniera dolorosa; un nascondere a nostro padre e a noi stessi, ciò che tutti – e anche lui – sapevamo.

La casa in cui abbiamo vissuto quei momenti, in realtà non era più nemmeno la sua casa, quella che si era costruito con le sue mani e dove avevamo vissuto insieme per trent’anni. No, era una casa che, sempre lui, aveva sistemato da poco per completare la sua esistenza con mia madre, nel naturale passaggio che si fa quando i figli diventano adulti e creano le loro famiglie.
Nella grande stanza di soggiorno al piano terreno, avevamo collocato anche il suo letto, perché ad un certo punto non gli riusciva più di salire le scale.
Negli ultimi giorni non mi ero più mosso dalla casa. Non volevo perdere nemmeno un secondo del tempo che rimaneva e continuamente ripensavo a quanto che avevamo fatto per la sua malattia, se avevamo sbagliato, se si sarebbe potuto fare meglio, perché ce n’eravamo accorti così tardi, se per colpa nostra o solo perché era inevitabile.
Sono pensieri che non mi hanno più abbandonato e ancora mi tornano spesso alla mente anche adesso che sono passati già molti anni.
E ripensavo anche alla mia vita con lui e su di essa, per fortuna, non avevo molti rimpianti, ma solo grande nostalgia, anche se forse in certi momenti qualche parola in più tra noi sarebbe stata utile e bella.

La prima crisi fu verso l’una di notte, pensammo che fosse arrivata l’ora tanto temuta, durò alcuni minuti, ma poi egli si riprese. Io guardavo le sveglie allineate sopra le nostre teste: una e venti, cinque e mezza, quattro e quaranta, erano le ore in cui si erano fermate le lancette, anni prima.
Stavo fermo accanto al letto di mio padre e con me nella stanza c’erano altre persone, come era stato sempre in quei giorni, mio fratello, nostra madre, il fratello di mio padre.
Aspettavamo.
La seconda crisi è arrivata verso le cinque, ed è stata più lunga e mano a mano che passavano i minuti il suo respiro diventava sempre più faticoso, difficile.
Capivamo che era finita, ma non volevamo accettarlo.
Poi mio fratello mi chiese di lasciarlo andare, perché non potevamo più trattenerlo con noi.
Io gli stringevo la mano e lo liberai.
Anche il suo cuore lo ha lasciato andare. Infine con la mano sinistra gli ho chiuso gli occhi.
Allora ho alzato lo sguardo sul mobile, la sveglia in mezzo segnava le cinque e mezzo. Al polso anche il mio orologio segnava le cinque e mezzo.
Dopo qualche istante io e mio fratello siamo usciti fuori, la notte era fredda, ma si vedevano le stelle, capimmo che ormai solo lassù avremmo ritrovato nostro padre.
Siamo rimasti in silenzio per molto tempo, poi siamo rientrati in casa.
Sono andato sul mobile ed ho preso le sveglie e in un impeto di dolore le ho gettate via.

Non le ho volute tenere anche se forse anche le altre due segnavano ore importanti della mia vita.

1 commento:

  1. una notte indimenticabile, maledetta e indimenticabile, alcune cose le cancelli , anzi ci provi a camcellarle , ma sono sempre li , il ricordo di papà malato in qualche modo lo cancellato, mi ricordo di quel papà che invece era sempre capace di fare qualcosa, che trovava sempre una soluzione , che nel suo volerci bene comunque non aveva mai slanci di affetto , non era un uomo che ti abbracciava e che ti baciava , ma era sempre li, come e sempre li ogni volta che facciamo qualcosa che lui ci a insegnato , che quando eravamo bambini magari pure un po ci avevano rotto, e ora piu si invecchia , e piu le cose che ci a insegnato ritornato utili, credo che sia io che mio fratello , di mio padre abbiamo preso quel maledetto vizio di non riuscire ad esprire cio che proviamo, che non riusciamo a dire ti voglio bene , ti amo , nemmeno tra di noi, nemmeno nei momenti difficili delle nostre vite, negli anni ho poi imparato che bastano 30 secondi per distruggerti la vita, una scossa di terremoto, un messaggio sbagliato , non ho piu avuto avuto orologi fermi, non ci avevo più pensato a quei tre orologi fermi, li avevo cancellati dalla mia memoria

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