Benvenuti

Questo è il mio blog personale, un blog di confine, dove proverò a pubblicare un pò di cose mie, per me e per chi le vorrà leggere.

Il Confine

...un confine, proprio perché si pone di fronte a una differenza, deve essere valicato, non deve essere ignorato ponendovi a limite la diffidenza, così come è valicato sistematicamente il confine che c’è fra il giorno e la notte, tra il prima e il dopo, tra la terra e il mare, fra l’uomo e la donna, tra la vita e la morte.

domenica 7 marzo 2010

Liberazione

Carlo si alzò presto quella mattina, indossò velocemente i calzoni, la camicia e la giacca e passò dalla cucina, dove prese una fetta di pane dalla credenza, poi uscì fuori. Il sole doveva ancora sorgere e allora attraversò in fretta il cortile e si inoltrò nel prato che c’era di fronte alla casa, fermandosi proprio sotto il grande noce che delimitava la sua proprietà. Poi si guardò intorno: il cielo in alto era limpido e l’aria frizzante. A est, verso Scalenghe, i primi bagliori del giorno si intravedevano emergere dalla foschia. Era uscito perché aveva bisogno di pensare, doveva convincersi che quello che era accaduto fosse proprio vero, che la guerra era finita.
Sì, perché la guerra era davvero finita!
Lo avevano saputo il giorno prima, il pomeriggio del 28 aprile, quando i tedeschi e i fascisti erano improvvisamente spariti dal paese e avevano visto le loro ultime colonne di automezzi che arrivavano da Pinerolo, passare sulla statale in direzione di Torino. A quel punto molti erano usciti in strada, ma proprio sul più bello la paura era tornata improvvisa, perché quattro aerei americani erano piombati sul campo di volo a bombardare e mitragliare la pista ormai deserta e solo il caso aveva evitato che ci fossero dei feriti o addirittura dei morti fra la gente. Poi anche a Viotto erano arrivati i partigiani, erano solo tre o quattro, ma erano bastati per trattenere la gente in piazza a parlare sino a sera inoltrata, quindi avevano attaccato al muro vicino alla chiesa il comunicato che annunciava la liberazione, intanto che il prete aveva cominciato a suonare le campane a distesa e così aveva fatto quello di Piscina, come già quelli di Pieve e Scalenghe tanto che i campanili si erano rincorsi in un concerto che aveva coinvolto tutta la pianura da Torino a Pinerolo, fino a quando era arrivata dalla radio la notizia, ancora incerta, che anche Mussolini era stato fucilato.
Tuttavia Carlo aveva bisogno di convincersi, di liberarsi l’animo dal peso che lo opprimeva. Anche perché questa era la terza volta che vedeva la fine di una guerra, quella che più lo aveva schiacciato. La prima volta era stato nel 1918, era una guerra che stava combattendo e gli era parso tutto più semplice, forse perché era giovane e voleva solo tornare a casa; la seconda volta era stato nel settembre del ’43, in una guerra che aveva vissuto da civile e non aveva quasi percepito, anche se come tutti ne desiderava la fine; così era stato contento di sentire dell’armistizio, ma poi l’illusione si era spezzata nel giro di pochi giorni e la nuova guerra gli era piombata in casa, inattesa e feroce come nessuno si sarebbe mai immaginato.
Mentre pensava a queste cose si sedette ai piedi del noce e cominciò a mangiare il pane che aveva messo in tasca e nel frattempo che mangiava vide arrivare verso di sé un giovane sui vent’anni. Non gli sembrava di conoscerlo, o per lo meno era una fisionomia che gli ricordava qualcuno, ma non sapeva dire chi. Questi lo salutò con un cenno della mano e si sedette accanto a lui poggiando la schiena contro il tronco:
- Allora è proprio finita, questa volta – disse Carlo spezzando il silenzio.
- Già, gli ultimi tedeschi sono passati sullo stradone stanotte. A quest’ora saranno già oltre Torino – rispose il giovane.
- Ma tu chi sei? Che mi sembra già di averti visto da qualche parte.
- Sono Giacomino il figlio di Mariuccia e Osvaldo.
- E quando sei arrivato? Non ti ho visto ieri in piazza - domandò Carlo riconoscendo a quel punto il giovane.
- Poche ore fa, vengo da Cuneo, dove sono stato negli ultimi mesi con i partigiani, ma sono quattro anni che manco da casa.
- E tua madre l’hai già vista?
- No, ma prima volevo sapere cosa è capitato qui da voi, mentre ero via.
- Eh caro mio, tu ne avrai viste di tutti i colori, ma anche noi abbiamo avuto le nostre.
- Ho visto che i tedeschi hanno costruito un sacco di roba qui intorno – disse il ragazzo.
Carlo guardò il ragazzo, aveva la barba lunga e i vestiti sporchi di fango e di chissà cos’altro, poi cominciò il lungo racconto delle cose accadute in quell’ultimo anno e mezzo:
- Ce li siamo trovati in casa da un giorno all’altro. Si sono piazzati a Scalenghe e Airasca e in pochi giorni hanno subito iniziato a trafficare per ingrandire l’aeroporto prendendo tutto quello che gli serviva senza tanti complimenti. Hanno fatto un’altra pista per gli aerei e Viotto si è trovato proprio al centro delle loro installazioni. Ci hanno messi tutti al lavoro - per carità ci pagavano e noi dovevamo mangiare - ma la verità è che lo abbiamo fatto perché quei maledetti facevano veramente paura. Ma cosa dovevamo fare? Non potevamo certo combattere perché c’erano le donne, i bambini, i vecchi. Non potevamo fare niente.
Poi ci sono stati i bombardamenti. Proprio qui da noi. Per carità, eravamo già abituati a vedere gli aeroplani Alleati che andavano a colpire Torino. Li sentivamo arrivare quasi sempre di notte: c’era questo rombo cupo che diventava fortissimo e si vedevano le formazioni fitte passarci sopra la testa, poi nelle notti più limpide i bagliori delle esplosioni arrivavano fino qui. Ad un certo punto ho adattato la cantina della casa a piccolo rifugio antiaereo, così in quelle occasioni vi si nascondevano le donne e i bambini che avevano paura del rumore degli aerei anche se io credevo che noi non correvamo nessun pericolo. E invece nel mese di agosto è capitato che una ventina di aerei ha attaccato il campo di Airasca in pieno giorno, lanciando bombe che sono cadute dappertutto nelle campagne circostanti e poi sono anche ritornati indietro a mitragliare la pista. Hanno detto che erano inglesi. Gli aerei sono tornati altre due volte e hanno anche ammazzato tre persone e due vacche.
Ma è stato proprio in quei giorni che molti giovani del posto, chi da Scalenghe, chi da Piscina, chi da Airasca, si sono uniti ai partigiani che dalle vallate avevano già esteso la loro azione anche alla pianura. Specialmente nella zona di Cumiana i gruppi partigiani erano molto attivi e hanno fatto moltissimi sabotaggi alla ferrovia di Pinerolo e a quella di Saluzzo. Quasi non passava giorno che non saltasse un ponte o uno scambio ed è capitato più di una volta di dover nascondere in casa qualcuno di questi ragazzi anche se il rischio era enorme, perché abbiamo visto quello che facevano i tedeschi per rappresaglia, non so se hai sentito cosa hanno combinato a Cumiana, che c’erano anche dei parenti di mia moglie, ma nessuno si è mai tirato indietro. A quel punto però anche la gente aveva smesso di lavorare per i tedeschi perché nessuno trovava giusto aiutarli, mentre tanti giovani rischiavano la vita e morivano per combatterli. Ed era la paura il sentimento più forte che provavamo in quei tempi, paura di veder morire le nostre donne e i nostri figli, paura di morire noi, ma soprattutto paura del futuro.
- Non potevate fare diversamente e la paura è normale, era una guerra fra un esercito spietato e una popolazione civile indifesa, ma anche noi in montagna avevamo paura. Paura di non vedere più tornare i compagni che partivano per le azioni, paura di essere presi e torturati, ma la voglia di libertà era ancora più forte, perché sapevamo di essere dalla parte giusta – aggiunse Giacomimo, poi Carlo riprese:
- Ma ancora questi ultimi sono stati mesi terribili, ogni tanto arrivavano notizie dell’avanzata degli Alleati nel centro Italia e si capiva che oramai i tedeschi e i fascisti erano alla fine, eppure più passavano i giorni, più sembrava che la loro ferocia aumentasse. Solo due o tre giorni fa, quando già sapevamo che Torino era liberata e i tedeschi si preparavano a fuggire, ci sono stati dei morti, inutili e ancora più tristi perché arrivati con la guerra finita – poi Carlo smise di parlare mentre il giovane lo osservava sorridendo:
- Sai – gli disse – io sono partito militare e mi hanno mandato in Albania, poi in Grecia e pensavo che era giusto andare a fare la guerra per il duce. Ma con l’armistizio tutto è crollato e siamo stati abbandonati a noi stessi, allora come tanti sono scappato e in qualche modo sono riuscito a tornare in Piemonte. Mi sono unito ai partigiani e lì è cambiato tutto, perché fra loro ho conosciuto persone con idee precise, giuste, ho sentito parlare di libertà, di democrazia, di giustizia e legalità, di diritti delle persone, tutte cose che non sapevo neanche cosa fossero. Ma erano cose di una bellezza e di un’importanza estrema e proprio per questo abbiamo combattuto duramente per ottenerle e d’ora in poi niente sarà più come prima, perché queste sono idee che diventavano fatti e così anche quelli che sono morti per opporsi alla tirannia, avranno giustizia, perché chi muore per la libertà rimane sempre vivo nel ricordo degli altri. E non dovrà mai più esserci un’altra generazione di giovani costretta a combattere una guerra come è capitato a voi nel ’15 e a noi adesso. Ci dicevano che il fascismo era la forza dell’Italia, che il duce era la nostra luce e ce lo dicevano così convinti che noi ci credevamo, ma abbiamo capito che non era così che quello che conta è il rispetto, la dignità, la giustizia. Non lasceremo spazio ad altro e non ci saranno altre guerre perché noi non lo permetteremo! Questo disastro e queste sofferenze non porteranno ad un'altra Italia della guerra, ma ad un Italia della pace – Carlo vide che il ragazzo si era illuminato e sentirlo parlare in questo modo aveva rasserenato anche lui. Pensò che se questa era la forza delle idee dei giovani allora le cose potevano veramente cambiare.
- Ti saluto, vado a trovare mia mamma, ciao – disse all’improvviso Giacomo. Carlo si alzò per salutare, poi sentì sua moglie che lo chiamava:
- Carlo, vieni a casa che c’è da fare.
Si voltò:
- Giusto, c’è da fare; c’è molto da fare! – pensò. Allora si avviò ed era allegro perché non si sentiva affatto stanco; respirò a pieni polmoni e mentre vedeva il paese rianimarsi e molta gente giungere dalle strade intorno, capì che quello era veramente un giorno nuovo.