Quest’ora di meriggio assolato
mi fa quasi dimenticare che in questi giorni ormai l’estate sta volgendo con
decisione verso l’autunno e mi invita ad inoltrarmi nelle antiche strade della
citta.
Svoltato l’ultimo angolo dopo
la salita, si apre una stretta viuzza chiusa fra due alti muri in pietra.
Quello a destra regge la collina che sale sino a raggiungere la grande chiesa
gotica di mattoni rossi; l’altro delimita un piccolo giardino che solo si
intuisce dall’esterno ed è rivestito da una spessa pianta di edera, talmente
attaccata alle pietre che sembra essere lei stessa che le tiene insieme impedendole
di rovinare a terra. In fondo al vicolo, il sole dritto a picco abbaglia,
regalandomi le ultime ore di tepore che intendo godermi come fanno le lucertole
che vanno e vengono fra i muri e il selciato.
Dopo alcuni passi un cancello di
ferro sgangherato disvela l’intero del giardino e all’improvviso sembra di guardare
in un altro luogo e in un’altra stagione. Perché inaspettatamente, fra aloe e
fichi d’india, limoni e rosmarino, trionfano un olivo e un oleandro e mi
domando se per caso sono finito in un antico borgo ligure, tanto da aspettarmi
di alzare lo sguardo e vedere il mare oltre i tetti frastagliati delle case; ma
no, sono ancora qui e vai a capire quale incredibile microclima si mantenga fra
questi quattro muri in pietra per far fiorire una varietà di piante del genere.
Però vorrei avere anche io un giardino così, da curare e sistemare e dove
ritirarmi ogni tanto a coltivare i miei pensieri.
Scendo poi fra le case più in
basso, qui le vie sono più larghe e le case più alte, mi incuriosisce guardare
dentro gli androni e ad un certo punto entro in un cortile interno. E’
quadrato, non molto grande; sui due lati si aprono dei porticati con le scale,
sopra ci sono i ballatoi con la biancheria stesa, in fondo un passaggio conduce
ad un secondo cortile e poi ad un terzo. All’improvviso mi accorgo che
all’interno degli isolati definiti dalle strade principali, si apre un dedalo
di passaggi, collegamenti, incastri di caseggiati che a loro volta si
sovrappongono gli uni agli altri, tanto da formare un mondo interno complesso e
totalmente nascosto al passante occasionale.
Mentre sono lì, arriva una
vecchietta con una grossa borsa della spesa, ha l’andatura di chi ormai si
avvicina al fondo del cammino; mi guarda incuriosita senza dire nulla, poi
imbocca una delle scale e sale al piano di sopra. Affacciandosi dal loggiato mi
scruta ancora una volta, poi scompare in un corridoio scuro. Mi viene da
pensare se sia soddisfatta della vita che ha vissuto, ora che volge al termine.
Adesso che anche io ho quanto meno raggiunto, se non superato, la metà di
quella che sarà la mia vita, mi viene spesso da pensare se il cammino che ho
percorso sino ad oggi sia positivo o negativo. E’ difficile dirlo, ma da un po’
ho capito che in ogni caso è importante godersi e apprezzare qualsiasi piccola
cosa che ci si trova davanti, fossero anche solo queste due ore di sole o la
bellezza del giardino di prima, perché è la semplicità di ogni giorno che fa la
somma di tutti i giorni della nostra vita. Mentre le cose straordinarie non
sono altro che eccezioni, in fondo.
Intanto mi arriva l’eco del
pianto di un bambino, allora esco fuori, ma per strada non c’è anima viva. A destra
appare un piccolo slargo della strada che va a formare quasi una piazzetta,
dove una scalinata conduce ad una chiesa abbandonata. Proprio sulla soglia un
gatto sdraiato dorme della grossa e non si accorge della mia presenza. Rasente
il muro opposto invece avanza un cane solitario. Cammina tranquillo, ma guardingo,
poi si avvicina, allora allungo la mano per accarezzarlo e lui distende il muso
verso di me. Penso che in questo momento sono molto simile a lui. Libero e
indipendente, visitatore solitario di questa città sconosciuta.