Di
questa campagna conosco ogni albero e ogni pietra, i colori delle case e gli
odori degli animali. La percorro avanti e indietro da quando sono nato e posso
dire che è casa mia, perché di qua non sono mai andato via.
Quando
posso me ne vado in giro e mi fermo ad osservare il paesaggio e se il cielo è
sereno lo sguardo spazia per cento chilometri e oltre. Trovo bellissimo fissare
le cose nella luce del mattino limpida e radente per confrontarle con quella
della sera quando tutto assume una dimensione diversa e mi piace fra i campi e
gli alberi individuare di tanto in tanto i campanili che emergono a indicare la
presenza dei borghi, dove può trovare ognuno la casa propria, perché nel loro
esistere - tutti simili, ma ciascuno unico e diverso – scandiscono sia lo
spazio fisico che quello del tempo. Su tutto e su tutti domina la cerchia delle
Alpi, vasta e imponente, che è insieme orizzonte fisico e mentale, la quale,
come un guscio protettivo, rende così personale e intima questa terra.
In
questo luogo c’è una stagione che mi piace più di ogni altra. «E’ l'estate»
dirai. Già, l’estate! L’estate qui è bella, calda, con i pomeriggi assolati da
non poter stare fuori prima delle cinque e le sere dolci, lunghe all'infinito.
La notte dura poco, a volere si potrebbe anche dormire all’aperto, sotto un
albero o in mezzo a un prato, fino al mattino quando il sole chiama presto e il
paese si muove indaffarato e brulicante. Ma per me, fra tutte, la stagione
preferita è la primavera, specialmente da fine marzo in poi. Sarà perché forse
marzo è il mese che sono nato, non so; comunque in quel periodo le mattine sono
ancora fresche, ma non gelate come in autunno, quando spesso c’è anche una
nebbia lattiginosa e spessa, che persiste tutto il giorno o in inverno, quando
fa veramente freddo.
In
primavera le piante e i campi rinascono, le giornate si allungano a vista
d’occhio e si percepisce in tutte le persone quella sottile euforia che precede
qualche avvenimento importante che può essere l’attesa di una festa o di un
matrimonio, come l’arrivo della bella stagione.
Sorprende
sempre il risveglio della natura. Gli alberi e i campi che hanno dormito nel
lungo inverno come morti, all'improvviso riprendono vita, specialmente questi
ultimi, arati di fresco e concimati, nelle ore del mattino ancora fredde,
fumano, letteralmente, come se dalle viscere della terra, il calore pulsante
del sangue sgorgasse per farle riprendere il suo eterno ciclo vitale.
Capita
poi un certo giorno, che uno si svegli di soprassalto in piena notte sentendo
fuori come un boato che scuote tutta la casa.
E’
un vento fortissimo che si era alzato sommesso, ma che nel giro di poche ore ha
preso una forza incredibile, affascinante e spaventevole: sono questi i giorni
del phon caldo e turbinoso che dalle montagne sferza la pianura,
scuotendo i tetti delle case, infiltrandosi tra le imposte, rovistando nei
fienili, sollevando turbinii di foglie e polvere, spazzando i cortili e le
strade. Quando finalmente si placa dopo aver sfogato tutta la sua energia ci si
accorge che si è tirato dietro la primavera e ora la lascia lì, bellissima e
luminosa, da tanto attesa e desiderata. Allora nel giro di pochi giorni, le
piante esplodono in uno scintillio di fiori e di colori, per poi lasciare posto
rapidamente alle folte chiome, verdi di foglie novelle. Nei prati l'erba,
finalmente rinata, si punteggia anch'essa di infiniti fiori. Le api e gli altri
insetti volano incessantemente a svolgere il prezioso lavoro a loro richiesto
dalla natura, secondo un disegno misterioso che nessuno sa capire da dove venga
fuori. “Solo Dio poteva creare tutto questo” diceva mio nonno Carlo a noi
nipoti “dotare gli animali, le piante e
tutti gli esseri viventi di quella incredibile capacità di saper fare ciò che è
necessario per la vita, nel momento giusto e nel modo giusto. Ogni anno, per
tutti i secoli. Anche il nostro corpo, nasce, cresce e si modifica senza che
noi ne sappiamo niente, fa tutto da solo. Gli uomini ogni tanto pretendono di
metterci mano, ma è solo per sistemare qualche piccolo guasto che viene fuori.
Per tutto il resto dobbiamo affidarci al Signore.”
Lo
diceva mio nonno e in tanti decenni, in fondo, qui poco è cambiato; come in
ogni luogo molti uomini sono passati e generazioni hanno vissuto, sofferto,
amato e combattuto, magari non per scelta, ma perché quella era la loro vita.
Nelle loro menti il mondo qui cominciava e qui finiva, quasi tutti non
sarebbero mai usciti da questo intorno, non avrebbero forse neppure visto la
stessa Torino, né tanto meno si
sarebbero posti la domanda di sapere chi abitava oltre le montagne o al di là
delle colline e se il mondo fuori aveva qualcosa di meglio o di peggio da dare
loro, rispetto alla vita che si attendevano.
Oggi
tutto è diverso, se volessi potrei vivere in qualsiasi posto e fare qualunque
cosa mi passi per la mente.
Potrei,
ma non voglio.
Se
vado via per un po’, dopo devo ritornare.
Qui
dove sono nato, nella mia pianura.
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